sabato 10 dicembre 2016

L'opinione di Sergio Brenna: "Gli scali ferroviari alla prova pubblica generale"






















Il riuso degli ex scali ferroviari a seguito della loro dismissione dagli usi istituzionali propri (così come quello delle ex caserme) è per Milano una delle più rilevanti opportunità per avviare una trasformazione della città che la ponga all'altezza del confronto con le altre maggiori città europee.
Tuttavia, per non disperderne la potenzialità non è sufficiente guardare a queste aree come un' occasione da cogliere a sé, concentrandovi quasi a forza ogni aspettativa sia di autonoma rendita fondiaria della proprietà sia di un pur necessario adeguamento alla realizzazione di ogni pregressa e insoddisfatta dotazione della città di verde pubblico e servizi territoriali anche di grande dimensione: una forma di nevrotica ingordigia da appetiti contrastanti di ogni sorta che finirebbe per soffocarle in un'abbuffata autodistruttiva degna della visionaria metaforicità del film di Marco Ferreri..
E' ciò che rischia di accadere con il confuso intrecciarsi delle procedure di un reticente Documento di indirizzo per la ridefinizione dell'Accordo di programma sugli ex scali varato dal Consiglio comunale a novembre e di un improvvisato workshop di tre giorni a metà dicembre, promosso da FS/Sistemi Urbani, ma con la collaborazione del Comune avallata dall'assessore Maran, e sotto la conduzione di cinque progettisti “team leader” incaricati di trarne poi sintesi di “visioni” progettuali da proporre a non si sa bene quale sede di valutazione.
Preoccupa per un verso la collaborazione inopinatamente offerta dall'assessore Maran ad una proprietà fondiaria che non ha mai ritirato il ricorso amministrativo contro il Comune per la mancata ratifica da parte del Consiglio comunale della precedente bozza di accordo con previsioni edificatorie che anzi FS/Sistemi Urbani presentano sui siti di promozione immobiliare come tutt'ora propria aspettativa indiscussa e, per altro verso, l'assenza dal dibattito di una Regione Lombardia la cui partecipazione è indispensabile a rendere l'Accordo sugli ex scali variante urbanistica, ma che sembra procedere secondo disegni autonomi scollegati da una visione d'insieme (vedi la proposta di unificare alcuni grandi ospedali sull'area di S. Cristoforo, indicata invece dal Comune come verde ambientale).
Infatti, la quantità edificatoria contrattata dalla precedente amministrazione comunale con FS/Sistemi Urbani (0,65 mq/mq; vale a poco dire che quella ancora precedente Moratti/Masseroli prevedeva addirittura 1 mq/mq: i ⅔ di una pazzìa non per ciò stesso sono una cosa ragionevole!) è in grado di produrre solo spazi di verde e servizi pubblici locali adeguati ai nuovi quartieri in previsione, se non si vuole che si producano altezze e densità degli edifici incompatibili con quelli delle aree adiacenti e perseguire, invece, un'effettiva riconnessione tra parti della città che gli scali hanno sinora escluso e tenute separate.
Se non si ha la forza di chiedere a FS/Sistemi Urbani di “perequare” una quota di quell'edificabilità con altre proprietà su cui far realizzare più utilmente i grandi parchi dove la pianificazione pubblica li aveva previsti (Parco Sud, Parco Martesana, Parco Vittoria/Forlanini, ma anche ex Gasometri/Goccia e – perchè no ? - ex carcere di S. Vittore, che rischiano di divenire edificabili per decadenza dei vincoli d'uso pubblico una volta dismessi, come già avvenuto per l'ex ippodromo di trotto a S. Siro) e, invece, ci si adatta a voler far realizzare i Central Park/Fiume Verde sugli ex scali perchè così è più facile ottenerli da un'unica proprietà fondiaria, l'edificabilità deve scendere a 0,45-0,50 mq/mq. E' un'ipotesi meno lungimirante e tuttavia così almeno accettabile.
Voler ficcarci a forza anche i grandi parchi con l'edificabilità attuale produce inevitabilmente “mostri” di densità edificatoria (superiori a quelle di Citylife e Porta Nuova!) che nessuna “inventività” o “visione” progettuale sarà in grado di rendere compatibile col resto della città.
Sarebbe come pretendere di fare nozze coi fichi secchi, cosa che neanche il più stellato degli chef potrebbe ardire di fare.
E' di questo che occorre discutere pubblicamente e in modo paritario nelle sedi istituzionali, prima di rinchiudersi nella presentazione delle “alchimie” dei grandi propositori/autocrati di visioni progettuali.
Altrimenti il risultato sarà quello di produrre aree assassinate da un progetto “orfano di parte pubblica”, frutto solo di sommatoria di interessi parziali e ciò non potrà essere invocato come un'attenuante da parte di coloro che avranno partecipato a commettere quel crimine.

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